Miti e leggende di Lello Isabella

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MITI E LEGGENDE DELL’ALTOPIANO DI SAN MAZZEO di Lello Isabella 

A volte non si da peso alle parole degli anziani, soprattutto quando si è bambini, ma nelle fredde sere d’inverno seduti intorno al fuoco (“fuocularu”) alla fioca luce di una lanterna (non c’era ancora l’energia elettrica) si raccontava di briganti, trovature, ebrei e croci cadute.

Con il passare degli anni questi ricordi riaffiorano… non erano narrate come favole, ma come fatti reali, a volte vissuti dai narratori stessi.

Penso a quando mi venne raccontato il motivo del nome San Mazzeo. Io ero convinto si trattasse di un Santo, ma nessuno porta questo nome! Infatti le ragioni, secondo questi racconti, risiedono nell’esclamazione “s’ammazzanu”. La zona della conca di San Mazzeo, infatti, era l’unica via d’accesso per il commercio tra la valle del Savuto e la piana lametina, di conseguenza divenne l’area dove i briganti tendevano agguati per depredare i viandanti: da qui l’espressione dialettale “s’ammazzanu”.

Legata ai briganti era la storia che mi raccontava nonna Giovanna: essi nascondevano le immense ricchezze accumulate in luoghi inaccessibili del Reventino e tali tesori sarebbero stati ritrovati in seguito da persone di animo nobile e puro, a cui sarebbe stata rivelata l’ubicazione in sogno. L’eletto, però, non avrebbe dovuto parlare con nessuno dell’accaduto e recarsi nel luogo in una notte di luna piena, solo così avrebbe trovato il suo tesoro. Mia nonna aggiunse di essere stata egli stessa un’eletta, ma di non aver trovato il coraggio per cercare la sua ricchezza.

La storia delle fate del Reventino era molto popolare e confermata da tutti.

Durante le serate in cui si “sfodarava u nnianu” e si “scucciavano e surache” ( era il raduno di tutto il paese ) gli anziani raccontavano di tre bellissime signore che vivevano in una grotta alle pendici sud-est del monte Reventino, le quali dispensavano consigli e mantenevano armonia tra le varie comunità del monte Reventino.

Quando le comunità iniziarono ad avere conflitti e a sopraffarsi una con l’altra, le tre fate tentarono in tutti i modi di riportare la pace e l’armonia tra le comunità; non riuscendo nel loro intento dissero, a detta degli anziani, “andremo via e ritorneremo solo quando il monte Reventino e il monte Cucuzzaro si saranno uniti.” ( fine del mondo )

 

Un’altra leggenda a cui si credeva ciecamente era quella delle croci del Reventino.

In inverno e in primavera quando si doveva seminare e continuava a piovere incessantemente, si diceva che bisognava andare ad alzare ” i cruci e Riuntino ” che erano cadute. Gli anziani partivano e andavano sulla cima del monte Reventino ad alzare le croci di legno. Questo l’ho visto fare di persona: avevo circa 6 anni quando partirono Zu Francisco Vilotta, Zu Tumasi a gesara ed altri per andare a rimette a posto le croci.

Le croci di legno esistevano veramente fino a una ventina d’anni fa, si potevano vedere sulla cima nord del monte Reventino.

Nell’immediato dopo guerra la vita dura degli abitanti della mia zona ( Costa, Stranges, Calusci, Abbritti, Sciosci ) costrinse gli abitanti ad una massiccia emigrazione verso le Americhe ( Argentina e Canada ). Secondo il mio punto di vista l’emigrazione sarebbe stata più massiccia se verso la metà degli anni 50 non ci fosse stato un grande investimento per opere idraulico-forestali nel vergante nord del Reventino.

Si trattava dell’applicazione della legge speciale per la Calabria ed i lavori della sistemazione idraulico-forestale erano affidati alla direzione del corpo forestale dello Stato.

Ricordo il senso di ammirazione di mio nonno Vittorio quando parlava del responsabile dei lavori, ” capitano Berti “, il quale appariva come una figura mitica

Tornando al periodo post- bellico , i lavori che lo caratterizzarono diedero la possibilità alle poche famiglie rimaste, di avere un sostentamento economico non basato esclusivamente sull’ agricoltura e sulla pastorizia, ma su una redistribuzione fissa di lavoro manuale.

Da qui alcuni ragazzi cominciarono a frequentare le scuole e a diplomarsi o laurearsi.

Fu un processo di infrastrutturazione civile e culturale, da cui discesero progresso e benessere, ma soprattutto valori.

 

Un ringraziamento particolare a mio cugino Alfredo Santorelli, il fratello che non ho mai avuto, per lo stimolo che mi ha dato a scrivere questi ricordi, e alla mia San Mazzeo che porto sempre nel cuore.

Lello Isabella

 

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