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Abile la mossa di spostare i riflettori dall’epicentro della questione politica (diventata, nelle ultime ore, anche tecnica, visto che, all’inseguimento del potere effimero, chi dovrebbe guidare la Regione Calabria ha “dimenticato” di chiedere i finanziamenti per le aree di crisi industriale) che resta il taglio da dare alla nuova giunta regionale, aprendo un dibattito surreale sulla presidenza del consiglio regionale.

Peccato, per i manovratori, che Tonino Scalzo ha deciso di sfilargli prontamente da sotto il naso il progetto, ribadiamo abile, di distrazione di massa: «Se pensate di logorarmi o di usare la mia carica come diversivo o come copertura di altre operazioni gattopardesche – ha detto in faccia Scalzo a Magorno e Oliverio – scordatevelo perché convoco il Consiglio con al primo punto dell’ordine del giorno le mie dimissioni».
E così l’ultima foglia di fico è cascata lasciando “re” Oliverio e il suo fido segretario regionale nudi alle prese con gli impegni sottoscritti a Roma: giunta non solo nuova ma anche di alto profilo. Nessuno sogni, come invece sta facendo, di sostituire un indagato con un incensurato attraverso un meccanismo di mera cooptazione per la quale chi è costretto a fare un passo indietro si fa sostituire da un (o una) prestanome. Del resto, al netto di Nino De Gaetano – che in giunta non andava messo non solo per la sua esposizione giudiziaria, ma anche per la sua inadeguata preparazione tecnica – sarebbe una mortificazione per gli stessi Guccione e Ciconte se, in loro vece, dovessero trovar posto ragazzotti o ragazzotte di incerto passato e di incertissimo avvenire.
Eppure tra i nomi che circolano non mancano esempi del genere. E quando chiedi “ma chi è?”, gli stessi addetti ai lavori non sanno risponderti altro che un «l’ha designata Romeo ovvero De Gaetano, ovvero Bova, ovvero Magorno» e via dicendo tutti inclusi.
Spiegava Giancarlo Pajetta che il rinnovamento in politica non è mai frutto di una scelta, bensì di un banale “incidente”. Se proprio il big deve farsi da parte, sceglie il suo delfino più scemo, non vuole correre il rischio di essere sostituito da uno più bravo di lui. Ogni tanto sbaglia la valutazione ed ecco che arriva ai piani alti della politica uno “buono”. Ma si tratta, appunto, di un incidente di calcolo.
In queste ore la cosa è stata spiegata bene ai vertici del Pd proprio da Tonino Scalzo e da un gruppo di consiglieri regionali che a lui fanno riferimento: non uno, ma dieci passi indietro, anche se la carica di presidente del consiglio regionale non è nella disponibilità né del partito e né del governatore, trattandosi di scelta autonoma dell’assemblea (in astratto potrebbe presiedere il Consiglio anche un esponente della minoranza), ma a patto che non ci sia neppure il sospetto di atti di furbizia nella scelta degli assessori.
Il rischio, a questo punto, è enorme e le responsabilità si concentrano, unicamente, sulle spalle di Magorno e Oliverio: una scelta sbagliata porterebbe alla balcanizzazione di un consiglio regionale che già è a rischio di suo, visto che la Corte costituzionale deve ancora pronunciarsi sul ricorso di Wanda Ferro.

di Paolo Pollichienioliverio

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